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Guida pratica all'assistenza > Assistenza al paziente adulto

Come bisogna comportarsi  di fronte a un paziente  con probabile ICTUS

ICTUS E TIA

Nei paesi industrializzati, fra cui l'Italia, l'ictus e la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie e rappresenta la principale causa d'invalidità. Recenti dati fanno inoltre ritenere che l'ictus sia già diventato, addirittura, la seconda causa di decesso nel mondo. Ogni anno si calcola che in Italia si verifichino
oltre 200000 nuovi casi di ictus (incidenza 2-3 paz/anno/1000 abitanti) e che i soggetti che hanno avuto un ictus e sono sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti (prevalenza), siano circa 900000.

Metabolismo e infarto cerebrale - Il cervello, per funzionare normalmente, deve ricevere momento per momento un apporto di sangue ossigenato, ma anche un apporto ridotto può essere sufficiente ad indurre un infarto per un periodo di tempo determinato. Tuttavia, una riduzione del flusso consente al cervello ischemico di rimanere vitale per un periodo di tempo prolungato prima che si sviluppi l'infarto o che tutto ritorni normale con il ripristino del flusso.

Prevenzione dei fattori di rischio - Alcune abitudini di vita e malattie rappresentano dei fattori di rischio per l'ictus cerebrale. La loro presenza, cioè, comporta un aumento della probabilità che avvenga un disturbo circolatorio al cervello. Il piu importante e purtroppo non modificabile fattore di rischio e l'età. Le persone piu anziane, infatti, hanno un rischio piu alto di avere un ictus. Le malattie piu importanti che rappresentano i fattori di rischio per l'ictus sono la pressione arteriosa alta, cioè l'ipertensione arteriosa, i livelli di zuccheri o glicemia elevati, cioè il diabete, i livelli di grassi o di colesterolo alti. Alcune abitudini di vita sbagliate, quindi pericolose, per l'insorgenza di un ictus sono l'obesita, un eccessivo consumo di cibi grassi, di carne e di alcool, una ridotta attività fisica e soprattutto il fumo. Tutte queste condizioni favoriscono l'aterosclerosi dei vasi cerebrali. Evitare queste abitudini e curare le malattie sopra indicate significa quindi fare prevenzione dell'ictus, cioè ridurre il rischio che si possa verificare un disturbo circolatorio. Oltre all'aterosclerosi, le cause dell'infarto cerebrale sono numerose, ma quelle più comuni sono le malattie cardiache (alterazioni del ritmo cardiaco, infarto, malattie delle valvole, difetti congeniti), i disturbi della coagulazione e le malattie del sangue.
E necessario controllare la pressione arteriosa (che deve essere mantenuta al di sotto di 140 / 80 mmHg) e se questa e alta bisogna assumere dei farmaci che l'abbassano. Le persone che hanno la glicemia alta devono sottoporsi a controlli periodici e assumere medicine come l'insulina o altre che riducono gli zuccheri nel sangue. I soggetti che invece hanno il colesterolo alto devono seguire una dieta particolare, oltre che assumere medicine che abbassano i livelli dei grassi nel sangue.

T.I.A. –
ll TIA ("transient ischemic attack", ovvero, in Italiano, attacco ischemico transitorio) e caratterizzato dalla improvvisa comparsa di disturbi focali, cerebrale o visivo, di durata inferiore alle 24 ore, dovuta ad insufficiente apporto di sangue. Nella sindrome da TIA le caratteristiche, la durata e la ripetitivita della disfunzione neurologica transitoria forniscono informazioni sui meccanismi fisiopatologici; in altri termini i sintomi clinici, i segni e il profilo temporale di un TIA indirizzano sull'origine e sulla sede dell'alterazione patologica arteriosa sottostante. Il termine TIA viene attribuito ad ogni difetto neurologico focale a comparsa improvvisa con recupero completo in meno di 24 ore. La trombosi cerebrale e certamente il tipo piu frequente di ictus cerebrale, si instaura su arterie lese da placche aterosclerotiche e si verifica prevalentemente di notte o nelle prime ore del mattino. Spesso e preceduta da attacchi ischemici transitori (TIA), che pertanto sono
degli importanti sintomi premonitori, utili per predire il rischio di ictus cerebrale in ogni paziente. Infatti, il rischio di ictus in un pz. che abbia avuto almeno un TIA e circa 10 volte superiore a quello di un altro pz. Con le stesse caratteristiche che non ne abbia mai sofferto.
I TIA si verificano quando l'apporto di sangue ad un territorio cerebrale e solo temporaneamente ridotto o arrestato dalla formazione di un trombo o dal passaggio di un embolo.

Segni e sintomi: I sintomi durano pochi minuti, anche se, occasionalmente, possono durare alcune ore (non piu di 24) e regrediscono completamente. Il TIA non e altro che un attacco ischemico di breve durata. E un deficit neurologico o oculare dovuto a trombosi o ad embolia di un'arteria che porta il sangue al cervello. Per definizione la durata deve essere inferiore alle 24 ore. Nella maggior parte dei casi la durata del TIA e di 5-30 minuti.
Le manifestazioni neurologiche piu frequenti di un TIA sono: una paresi degli arti da un lato: puo essere interessato anche un arto soltanto; un disturbo della parola da solo o associato alla paresi; uno
sdoppiamento delle immagini, nausea, barcollamento e sonnolenza; cedimento improvviso delle gambe con caduta a terra senza perdita di coscienza; la perdita improvvisa della vista in un occhio, che regredisce lentamente dopo alcuni minuti.
La breve durata dei sintomi, ma soprattutto la loro completa reversibilita, permette di differenziare il TIA dall'Ictus. Nel sospetto che ci si trovi in presenza di un TIA bisogna contattare immediatamente il proprio medico che, dopo accurata indagine clinica, confermato il sospetto diagnostico, richiederà gli accertamenti piu opportuni da eseguirsi nel piu breve tempo possibile (24-48 ore) per la definizione della patogenesi.
Comunque in caso di TIA recente, la valutazione immediata in ospedale e sempre consigliabile ed il ricovero e indicato quando gli attacchi siano subentranti o di durata superiore ad un'ora o quando sia nota una possibile fonte embolica (arteriosa o cardiaca).

ICTUS –
L'ictus (in inglese "stroke"), detto anche "accidente cerebro-vascolare" e una malattia caratterizzata dalla insorgenza, di solito improvvisa, di un disturbo neurologico, di durata superiore a 24 ore, che puo interessare una parte del corpo, la parola, la visione, dovuta ad una alterazione della circolazione cerebrale. E' la conseguenza del danneggiamento di un'arteria, che porta il sangue ossigenato al cervello. Le malattie cerebrovascolari coinvolgono uno o piu vasi sanguigni cerebrali in un processo morboso. Questo può essere intrinseco al vaso (aterosclerosi, infiammazione, aneurismi dissecanti, malformazioni di sviluppo o dilatazioni aneurismatiche) oppure il processo puo avere inizio a distanza, (come quando un embolo proveniente dal cuore o dalla circolazione extracranica va ad incunearsi in un vaso intracranico) oppure come quando la diminuzione della pressione di perfusione o l'aumento della viscosità del sangue porta ad un flusso ematico insufficiente in un vaso cerebrale. Ci sono due tipi di ictus: quelli causati da emboli o trombi, chiamati "ictus ischemici" e quelli causati da rottura di arterie, chiamati "ictus emorragici" . Gli "emboli" possono originare dal
cuore o dalle arterie del collo che portano il sangue al cervello (arterie carotidi e vertebrali), occludono i vasi,
bloccano il flusso del sangue ed impediscono all'ossigeno di arrivare al cervello. I "trombi" sono invece coaguli di sangue capaci di restringere o occludere le arterie del cervello. Quando le cellule nervose non ricevono piu ossigeno perdono le loro funzioni andando incontro a sofferenza ed a morte.
L'ictus ischemico rappresenta la forma piu frequente di ictus (80% circa), mentre le emorragie comprendono
la percentuale restante. Gli ictus ischemici sono piu frequenti nei maschi con eta media ampiamente
superiore ai 70 anni. L'ictus (o stroke) viene definito come un accidente neurologico risultante da uno dei processi patologici suddetti.

L'ischemia puo essere dovuta a:
• trombosi cerebrale (l'occlusione di un vaso dovuta a trombo o embolo, provoca un danno ischemico a valle del punto di occlusione stesso)
• emorragia cerebrale (l'arteria si puo rompere quando e lesionata o indebolita)

Conseguenze: L'area a valle del punto di rottura va incontro ad ischemia ed il sangue che fuoriesce aumenta la pressione sul cervello e comprime i tessuti.

Segni e sintomi: Un ictus puo manifestarsi in diversi modi: piu frequentemente con la comparsa improvvisa di una debolezza (ipostenia) oppure una difficolta a muovere un arto (paresi). Di solito il disturbo interessa meta corpo (faccia, braccio e gamba). Molto spesso a cio si associa, soprattutto se il lato del corpo colpito e quello destro, una difficolta a parlare o a comprendere le parole (afasia). In casi piu gravi, la persona colpita puo presentare perdita di coscienza improvvisa (o coma), preceduta o meno da forte mal di testa o vomito.
Cio si verifica piu spesso negli ictus emorragici oppure nell'infarto cerebrale secondario a chiusura di una grossa arteria, come nel caso di un'embolia dell'arteria carotide interna, uno dei principali vasi del collo che portano il sangue al cervello. Altre manifestazioni possono essere un disturbo della vista in entrambi gli occhi, formicolio (parestesie) od una ridotta sensibilita in una meta del corpo, la deviazione della bocca associata a difficolta ad articolare le parole (disartria), lo sdoppiamento delle immagini (diplopia) associato a perdita di equilibrio, nausea e sonnolenza.
Molto spesso vi sono delle manifestazioni che possono precedere di qualche ora o giorno l'insorgenza certa di un ictus. Saperle riconoscere e di estrema importanza perche le cause possono essere nella maggior parte dei casi individuate e curate prima che insorga l'ictus definitivo. I sintomi iniziali possono essere molto lievi o molto intensi all'esordio oppure i difetti possono variare, migliorando o peggiorando in modo discontinuo (a gradini). E' questo andamento nel tempo che prima di tutto suggerisce se la lesione e trombotica, embolica o emorragica. Spesso sono i famigliari la sorgente migliore di informazioni importanti
in casi di ictus acuto o di TIA, come per esempio:
- Emicrania - Confusione e vertigini - Perdita della funzionalita e paralisi, di solito monolaterale
- Collasso - Volto flaccido e perdita di espressione, di solito monolaterale - Afasia - Anisocoria -
Diminuzione della capacita visiva - Polso rapido e pieno - Difficolta a respirare, tendenza a
russare - Nausea - Convulsioni - Perdita del controllo vescicale ed intestinale - Coma
Non bisogna aspettare nella speranza che i sintomi si risolvano da soli. Il ricovero immediato presso strutture specializzate per la diagnosi e la cura dell'ictus puo evitare un aggravamento e le numerose complicanze che ad esso fanno seguito.

Valutazione neurologica del paziente:
Paresi facciale: chiedere al paziente di sorridere o di mostrare i denti e notare se entrambi i lati della faccia si muovono ugualmente (normale) o se un lato non si muove bene come l'altro (non normale).
Deficit motorio degli arti superiori: chiedere al paziente di estendere gli arti superiori per 10 secondi mentre tiene gli occhi chiusi e notare se gli arti si muovono alla stessa maniera (normale) o se uno non si muove o cade, quando confrontato all'altro (non normale).
Anomalie del linguaggio: chiedere al paziente di ripetere una frase e notare se il paziente usa le parole correttamente con linguaggio fluente (normale) o se strascica le parole o usa parole inappropriate o e incapace di parlare (non normale).
L'alterazione di ciascuno dei tre segni e fortemente suggestiva per un ictus

Come bisogna comportarsi  di fronte a un paziente  con probabile ICTUS
Cosa fare - Si dovra procedere come segue:
• Valutazione della sicurezza (autoprotezione)
• Valutazione delle funzioni vitali come visto nel B.L.S.; se assenti iniziare BLS
• Controllare in particolare la pervieta delle vie aeree
• Monitorare i parametri vitali (saturazione, pressione arteriosa, frequenza cardiaca)
• Somministrare O2 ad alti flussi
• valutazione del livello di coscienza secondo la scala AVPU
• valutazione del diametro delle pupille ed eventuale anisocoria
• Mantenere calmo il paziente
• Trasportare in posizione semiseduta, coprendo il paziente
• proteggere le estremita paralizzate, per evitare traumi durante il trasporto
• Non somministrare nulla per via orale
• Parlare al paziente e continuare ad osservarlo
• Un adeguato approccio assistenziale di primo intervento dovrebbe prevedere le seguenti azioni:
• vanno individuati quei casi in cui l'esordio dei sintomi e avvenuto entro 6 ore dall'arrivo del personale dell'ambulanza;
• eventuali traumi cranici o cervicali devono essere sempre ricercati, come causa alternativa all'ictus;
• i soccorritori devono collegare monitor, pulsiossimetro, sfigmomanometro, rassicurare il paziente (anche se non puo parlare, puo capire), assicurare la pervieta delle vie aeree, se necessario dare ossigeno, proteggere le estremita paralizzate. Il trasporto dev'essere fatto in posizione semiseduta
• all'arrivo al Pronto Soccorso del paziente assume una particolare importanza la segnalazione dei parametri vitali oltre che del tempo d'esordio dei sintomi.
Il personale dei mezzi di soccorso deve:
• raccogliere le informazioni piu precise possibili sull'ora di inizio dei sintomi e sulle loro caratteristiche, sui farmaci assunti dal paziente e su eventuali malattie presenti o passate;
• intervenire solo in caso di disturbi gravi della respirazione o della circolazione;
• trasportare immediatamente il paziente all'ospedale piu vicino e piu organizzato per il trattamento dell'ictus cerebrale.
Durante il trasporto in ospedale deve essere ricercato ogni eventuale cambiamento (miglioramento o deterioramento) del quadro neurologico.



Assistenza al paziente colpito da ictus cerebrale

MOBILIZZAZIONE PRECOCE E SELF CARE

Raccomandazioni

• I Pazienti con Ictus acuto vanni mobilizzati appena possibile subito dopo il ricovero:

• Appena possibile il paziente va stimolato ad eseguire il Self Care e, se necessario, insegnare come compensare la disabilità

Mobilizzazione

La mobilizzazione precoce aiuta a prevenire la comparsa di eventi complicanti quali la Trombosi Venosa Profonda, la Polmonite da stasi, Lesioni Cutanee, Stipsi, Contratture; ha altresì effetti psicologici positivi rilevanti per il paziente ed i familiari.
E’ importante mobilizzare il paziente appena le condizioni cliniche lo consentono. In ogni modo la mobilizzazione deve avvenire entro le 24 – 48 ore dal ricovero.
Per i pazienti in coma o fortemente disorientati che manifestano segni e sintomi di aggravamento, va posta una particolare attenzione e cura. Non essendo possibile in tali condizioni avviare un percorso riabilitativo, questi pazienti vanno incontro precocente alla sindrome di allettamento. Risulta prioritario, quindi attuare un programma di postura alternata per prevenire arrossamenti cutanei e disturbi respiratori e circolatori.
Gli spostamenti ed i cambi di postura devono essere eseguiti attraverso l’impiego di teli/traverse onde evitare stiramenti della spalla e pericolosi sfregamenti con il lenzuolo.
La posizione deve essere mantenuta per il tempo necessario (max 2 – 3 ore) attraverso l’utilizzo di materiale disponibile nella U.O., Cuscini, archetti alzacoperte, spondine e l’impiego di presidi antidecubito. ( si ricorda che non è efficace l’utilizzo di vello di lana ed è deleterio l’impiego di ciambelle per la prevenzione delle L.D.D.)

Programma di mobilizzazione Il programma di mobilizzazione prevede inizialmente il mantenimento della posizione seduta con le gambe fuori dal letto seguito, dopo un paio di giorni, dal trasferimento dal letto alla carrozzina. Seguirà la prova di assunzione della stazione eretta e poi il cammino assistito.
L’impostazione del programma riabilitativo presuppone una costante interazione tra Medici, Capo Sala, Fisioterapisti Infermieri e personale di supporto e laddove disponibili, logopedisti ed assistenti sociali.
Il programma di riabilitazione deve prevedere specificatamente alcuni comportamenti da evitare:
• Fare affaticare il paziente, fargli fare movimenti rapidi ed improvvisi;
• Massaggiare gli arti plegici;
• Mantenere il piede plegico in posizione non fisiologica;
• Utilizzare palline in gomma per la mano in quanto stimolano riflessi involontari;
• Esercitare trazioni sull’arto plegico per i rischi di lussazione;
• Porre in piedi il paziente o farlo camminare senza disposizioni precise.

Le attività di vita (mangiare rassettare, vestirsi, andare in bagno) andrebbero valutate e l’attività infermieristica calibrata in base al grado di autonomia residua del paziente che deve stimolata ed incoraggiata

GARANZIA DELL’INTEGRITA’ CUTANEA

Raccomandazioni

• Durante la fase acuta e per la durata della riabilitazione, si devono attivare interventi per mantenere l’integrità della cute.

Procedure:

E’ stato calcolato che il 14.5% dei pazienti con Ictus Cerebri sono presenti Lesioni cutanee da pressione (fonte: National Survey of Stroke). Maggiore rischio corrono i pazienti in coma, quelli con grave paresi, gli obesi con incontinenza urinaria e/o intestinale.
Al fine di mantenere la integrità della cute è necessario:
• Controllare quotidianamente la cute identificando le aree a rischio (prominenze ossee)
• Lavare ed asciugare la cute con delicatezza
• Proteggere la cute dall’esposizione all’umidità (es. sudore, urina)
• Evitare traumi da strofinamento o scivolamento durante la postura e il cambio di essa
• Utilizzare correttamente spray di barriera, creme protettive, materassi antidecubito a scopo pentivo e curativo
• Somministrare una alimentazione ed idratazione che tengano conto del reale bisogno (energetico e calorico proteico)
• Stimolare la mobilità del paziente.

Per i casi in cui non si riesce a controllare l’incontinenza urinaria si deve ricorrere al alcuni presidi: condor per gli uomini e pannolini nelle donne. Se il livello di coscienza del paziente è basso ed il rischio di lesioni elevato, è indicato l’utilizzo del catetere vescicale (vedi indicazioni e procedure specifiche).
Prima della dimissione è utile educare il paziente e i familiari su come ridurre il rischio di insorgenza di lesioni da decubito (mobilizzazione, posture, igiene)

PREVENZIONE DELLE CADUTE

Raccomandazioni


• Il paziente a rischio di cadute va valutato sia al ricovero che per tutta la durata delle degenza. I metodi di prevenzione dipendono dal tipo e della gravità della disabilità.

Rischio
Le cadute rappresentano la causa più frequente di lesioni nei pazienti ospedalizzati per ictus. Una delle complicanze più comuni è la frattura del femore.
Il rischio è maggior e se deficit sensoriali accompagnano il deficit di mobilità, l’equilibrio ed il coordinamento di movimenti.
Le cadute possono aumentare anche in caso di confusione mentale (nell’anziano la ospedalizzazione in sé genera disorientaemneto), l’alterazione della vista e la incapacità di attivare le procedure di comunicazione, quando viene meno la capacità di chiedere aiuto e di esprimere i propri bisogni.
L’utilizzo di alcuni farmaci può indurre stanchezza e scarsa lucidità.
I rischi di caduta aumentano nei casi seguenti:
• Pazienti con ictus dell’emisfero destro,
• Pazienti in età avanzata,
• Pazienti soggetti a frequenti trasferimenti,
• Pazienti con impulsività comportamentale.

Prevenzione

La prevenzione delle caduta deve tenere conto dei rischi potenziali dell’ambiente (illuminazione, superficie del pavimento, accesso ai servizi igienici etc..)
La responsabilità di valutare ed attuare misure preventive in genere è riferibile al personale infermieristico (deficit strutturali devono essere tempestivamente comunicati agli organi competenti) anche se dovrebbe essere obiettivo comune di tutto il personale sanitario.
Per ridurre le cadute accidentali occorre:
• Controllare e valutare attentamente i pazienti a rischio (scala di Conley),
• Accompagnare il paziente in bagno ad intervalli regolari,
• Verificare il livello di autonomia nei trasferimenti e la stabilità durante la deambulazione,
• Fornire il sistema di chiamata facile e comodo,
• Utilizzare le spondine se il paziente tende ad alzarsi contro il parere dei sanitari

LA “SPALLA DOLOROSA”

Raccomandazioni
• La prevenzione dei traumi alla spalla deve basarsi su un corretto posizionamento e sostegno evitando vigoroso esercizi di mobilizzazione completa e forzata.



Soggetti a rischio:

Il dolore alla spalla è stato riscontrato nel 70-84% in pazienti con paralisi degli arti superiori. La spalla è particolarmente vulnerabile a traumi esterni in quanto la capsula articolare può essere stirata per azione gravitazionale , quando viene a mancare, nei pazienti con paresi, il normale tono muscolare della cuffia dei rotatori.
Dolore prolungato, spalla rigida,, indipendenza funzionale, sono potenziali effetti delle lesioni alla spalla. Nel paziente con emiplegia diventa determinante prevenire la comparsa del dolore in quanto interferisce negativamente sul morale del paziente e nell’impegno agli esercizi riabilitativi. E’ quindi, opportuno identificare i soggetti a rischio e adottare comportamenti assistenziali adeguati.
Per pazienti a rischio si intendono quelli con flaccidità dell’emilato colpito e/o compromissione della sensibilità e dello stato di coscienza..
Per sostenere l’arto flaccido ed evitare la lussazione, è indicato l’utilizzo di cuscini di varie misure per il posizionamento a letto e nella carrozzina e il reggibraccio negli spostamenti.
È una complicanza tra le più frequenti, per cui è importante sia per il paziente che per i parenti l’acquisizione di alcune tecniche di preven-zione sotto riportate:
• corretto posizionamento dell’arto superiore (supina- laterale- posi-zione assisa- stazione eretta, ecc.);
• insegnare al paziente a non tenere l’arto a penzoloni;
• corrette tecniche di presa dell’arto superiore durante la deambula-zione evitando movimenti in trazione);
• evitare sollecitazione in trazione dell’arto plegico/paretico nell’in-dossare capi di abbigliamento; (vestire prima l’arto plegico/paretico e successivamente quello sano).
Principi di rieducazione
• Risolvere i problemi con il paziente.
• Impegnare il paziente con compiti significativi.
• Le mani dell’assistente circondano quelle del paziente esercitando con le punte delle dita un’eguale, diffusa pressione.
• Le mani dell’assistente non devono avere contatti con l’oggetto o il materiale trattati.
• L’assistente deve avere un piano terapeutico mirato.
• Le mani del paziente devono restare a contatto con la superficie di lavoro.
• Il trattamento deve essere bimanuale.
• L’assistente deve guidare l’intero corpo del paziente.
• Dapprima il paziente dovrà toccare l’oggetto e solo dopo la mano spastica verrà guidata intorno ad esso.
• L’assistente non deve parlare mentre guida il paziente.
• L’assistente deve stabilizzare metà del corpo prima di muovere l’al-tra.

Prevenzione              

La cura principale di questo disturbo, si attua attraverso il mantenimento di una corretta postura e una cauta mobilizzazione dell’arto superiore. Occorre insegnare al paziente ed ai familiari l’importanza di sostenere l’arto offeso e non lasciarlo mai pensoloni né quando il paziente è a letto né quando è in piedi o seduto.
Il personale deve conoscere le tecniche di mobilizzazione del paziente emiplegico evitando di afferrarlo per il braccio e strattonarlo onde scongiurare microtraumi a carico dell’articolazione.
Gli esercizi di mobilizzazione non devono superare i 90° di flessione e di abduzione quando non vi sia anche contemporanea extrarotazione della testa omerale e sollevamento della scapola. Nel 12 – 25% dei pazienti con emiplegia, si è riscontrata una distrofia simpatico riflessa o “sindrome spalla-mano”. Essa è caratterizzata dalla comparsa di pallore cutaneo, dolore, rigidità e gonfiore dell’arto colpito.




GESTIONE DELLA FUNZIONALITA’ VESCICALE
Complicanze urinarie
La maggior parte delle infezioni delle vie urinarie contratte in ospedale è associata all’uso di cateteri vescicali. La cateterizzazione intermittente non è stata associata a nessuna riduzione del rischio di infezione. Una volta diagnosticata l’infezione urinaria, vanno scelti gli antibiotici adeguati; per evitare lo sviluppo di resistenze batteriche, bisogna evitare l’antibioticoprolifassi.
L’incontinenza e la ritenzione urinaria sono frequenti dopo un ictus, in particolare nei pazienti più anziani, più disabili e affetti da disturbi cognitivi. Stime recenti suggeriscono una prevalenza del 40-60% nella popolazione con ictus acuto, di cui il 25% rimane incontinente alla dimissione e il 15% a 1 anno. Incontinenza e ritenzione urinaria rappresentano elementi predittivi di esito funzionale non favorevole. Tuttavia, i dati provenienti dagli studi attualmente disponibili sono insufficienti per guidare il trattamento dei disturbi sfinteri ali degli adulti dopo un ictus. Sono in corso approcci multidisciplinari con valutazione strutturata e nursing nel ridurre l’incontinenza urinaria e i relativi sintomi dopo un ictus.

Raccomandazioni

• Il catetere vescicale posizionato in fase acuta, va rimosso prima possibile. L’uso cronico o prolungato va limitato ai soli pazienti la cui incontinenza non può essere trattata diversamente.

Incontinenza sfinterica
Problemi di incontinenza e controllo della vescica sono abbastanza comuni dopo un ictus, generalmente si risolvono spontaneamente nella maggioranza dei pazienti.
Cause possibili dell’incontinenza urinaria sono:
• Deficit neurologici che portano all’ipertono vescicale o ipotono con incontinenza da rigurgito,
• Deficit cognitivi di comunicazione che provocano incapacità a riconoscere lo stimolo o di chiamare in tempo utile.
E’ una complicanza che può contribuire ad aggravare la mortalità e la morbilità dell’ictus in quanto aumenta il rischio di infezioni delle vie urinarie: l’incontinenza persistenza comporta una prognosi infausta di recupero funzionale a lungo termine.

L’indicazione alla cateterizzazione a permanenza deve essere utilizzata solo quando altre soluzioni non sono possibili, quando è necessario avere un preciso bilancio idrico, quando sono presenti L.D.D.
L’uso del catetere vescicale a permanenza aumenta il rischio di batteriemia e le infezioni del tratto urinario. A prescindere dall’utilizzo del catetere a permanenza o intermittente, al fine di prevenire le IVU è importante la corretta gestione del dispositivo

Ritenzione Urinaria

Per evitare le infezioni e la compromissione della funzionalità renale, è bene che sia mantenuta una buona attività vescicale invitando il paziente a mingere a intervalli regolari stimolando la vescica frizionando e picchiettando la regione sovrapubica, applicando la borsa di ghiaccio, o facendo scorrere dell’acqua tiepida all’interno della coscia.
Cateterismi e presidi
In relazione alla caratteristiche individuali ed al tipo di ritenzione, dopo avere messo in atto le procedure di svuotamento della vescica, potrebbero essere indicati cateterismi estemporanei.


Nel caso di pazienti incontinenti, è preferibile utilizzare cateteri esterni tipo Urocontrol i quali vanno sostituiti ogni 12/24 ore eseguendo una accurata igiene per il rischio di macerazione;l’uso del pannolone può rappresentare un’ulteriore alternativa ; deve essere sostituito ogni 6 ore massimo ed ogni volta che necessità . Anche tali presidi devono essere utilizzati solo per il tempo necessario, promuovendo l’utilizzo di pappagallo e padella e quindi l’autonomia del paziente.

 

GESTIONE DELLA FUNZIONALITA’  INTESTINALE         

Raccomandazioni



• Nei pazienti con alvo tendenzialmente stitico o incontinente, dovrebbe essere attuato un programma di trattamento della funzionalità intestinale.
.
Incontinenza fecale

Si manifesta in gran parte dei pazienti colpiti da ictus, normalmente scompare entro due settimane.
La presenza di incontinenza fecale è indice prognostico sfavorevole4 anche se talvolta può essere causata dall’alimentazione entrale per sondino, dalle affezioni intestinali o dai farmaci utilizzati durante il trattamento.

Il contatto prolungato con le feci può favorire l’insorgenza di Lesioni da Decubito. E’ importante rieducare l’intestino ad uno svuotamento regolare e volontario. Ciò si ottiene stimolando la peristalsi promuovendo l’evacuazione nella posizione più comoda possibile, assicurando privacy, igiene e confort.

Per i pazienti affetti da incontinenza fecale è consigliato  di:

• Cambiare repentinamente la biancheria sporca e provvedere all’igiene intima,
• Utilizzare il pannolone,
• Promuovere il ripristino della funzionalità intestinale creando condizioni favorevoli,
Programmare a orari fissi l’assunzione dei pasti e delle evacuazioni.

Stipsi               


Altra condizione è la stipsi dovuta alla prolungata immobilità a letto, la modificazione della dieta durante il ricovero, il ridotto apporto di liquidi per via orale, l’azione di taluni farmaci.
In caso di stipsi:
• Promuovere , se le condizioni lo consentono, l’evacuazione in posizione naturale,
• Somministrare una dieta ricca in fibre e alimenti con proprietà lassative (frutta e verdura) controllare l’assunzione di liquidi per via orale, somministrare lassativi blandi, applicare supposte di glicerina o eseguire clisteri evacuativi.

Se protratta la stipsi può favorire la formazione di fecalomi che, eventualmente devono essere rimossi previa rottura con manipolazione digitale.
Per favorire la normale ripresa della funzione intestinale formulare un programma di rieducazione.
DISFAGIA E ALIMENTAZIONE

La disfagia si verifica nel 50% dei pazienti con ictus maggiore associato ad emiplegia. La prevalenza della disfagia è maggiore nelle fasi acute dell’ictus e si riduce al 15% a 3 mesi. La disfagia è associata a una maggiore incidenza di complicanze mediche e a un’aumentata mortalità
globale. Secondo una recente revisione sistematica in pazienti con ictus, l’incidenza di disfagia risulta più elevata usando test clinici specifici (water swallow test; 51%-55%) ed ancora maggiore con test strumentali (esame endoscopico a fibre ottiche o videofluoroscopia; 64%-78%). Inoltre la disfagia si presenta meno frequentemente negli ictus emisferici, mentre è clinicamente più rilevante, anche nel lungo termine, negli ictus del tronco dell’encefalo. Il rischio di complicanze broncopolmonari risulta aumentato in pazienti con disfagia ed aspirazione.

Un’insufficiente alimentazione può peggiorare lo stato catabolico dei pazienti con ictus. Le stime di incidenza della malnutrizione variano dal 7 al 15% all’ammissione e dal 22 al 35% a 2 settimane; tra i pazienti che richiedono una riabilitazione prolungata, la prevalenza della malnutrizione può raggiungere il 50%.
La disfagia è un disturbo che implica un’alterazione della normale progressione del cibo dal cavo orale allo stomaco.
La maggior parte dei pazienti disfagici lamenta sintomi quali sensazio-ni di “blocco” del bolo alimentare, tosse, rigurgito nasale e infezioni respiratorie ricorrenti causate dall’aspirazione tracheo-bronchiale de-gli alimenti.
La disfagia è un disturbo spesso sottovalutato che può interessare il 20% della popolazione generale.
Tale incidenza aumenta:
• nella popolazione anziana
• nei pazienti oncologici
• nei soggetti traumatizzati cranici
• negli accidenti vascolari
Incidenza dei disturbi della deglutizione nella popolazione:
• 13-40% pazienti ospedalizzati
• 30-35% pazienti in centri riabilitativi
• 40-50% pazienti in centri dilunga degenza.

Le conseguenze
La disfagia è responsabile di circa il 40% dei decessi post-ictus. Può causare l’insorgenza di patologie gravi e potenzialmente letali (polmo-niti ab ingestis); può spingere i soggetti che ne sono affetti a ridurre l’assunzione di cibo inducendo gravi stati di malnutrizione e disidrata-zione: può provocare la morte per soffocamento quando il cibo si ar-resta nella faringe/laringe, impedendo così la ventilazione polmonare.
Per questo è necessario assicurare al paziente disfagico una corretta alimentazione e idratazione, utilizzando cibi di consistenza adeguata e bevande gassate o non gassate su indicazione dei logopedisti e del foniatra.

Consigli generali
• Evitare di creare disagio al paziente forzando il suo ritmo naturale nel mangiare.
• È preferibile servire al paziente disfagico porzioni ridotte di cibo con maggiore frequenza, piuttosto che tre pasti abbondanti al giorno.
• È importante preservare la dignità del paziente. Se è preoccupato all’idea di dover assumere cibo in presenza di altre persone, scegliere un luogo più riservato lo aiuterà a rilassarsi e a sentirsi meno a disagio.
• La deglutizione sarà notevolmente facilitata se il paziente mantiene una posizione corretta
• Tenere sotto controllo eventuali sintomi di peggioramento e, nel caso, rivolgersi al medico di riferimento.
• Assicurarsi che il paziente deglutisca regolarmente e che sia vigile, prima di passare al boccone successivo, verificare che non abbia resi-dui di cibo nel cavo orale: nel caso farlo deglutire una seconda volta a vuoto.
• Seguire i consigli del logopedista riguardo alla consistenza del cibo adatta al paziente.
• Lasciare che il paziente guardi, annusi e gusti il cibo, in modo da stimolare l’appetito e la produzione di saliva.
• Lasciare tempo sufficiente per masticare e deglutire.
• Quando imboccato, somministrare il cibo sulla parte anteriore della lingua per evitare che si rovesci all’indietro.

• Quando il paziente ha terminato di mangiare, deve restare seduto per almeno venti minuti
• Riferire eventuali problemi deglutitori incorsi durante il pasto.

Le caratteristiche di consistenza degli alimenti
• Liquidi (acqua-thè-tisane, ecc).
• Liquidi densi (latte-yogurt “da bere”-succhi di frutta con polpa).
• Semiliquidi (gelati-granite-passati di verdura-yogurt-creme-semoli-no-crema di riso-frullati omogeneizzati di frutta).
• Semisolidi (polenta-semolino-crema di riso-passati di verdura densi-omogeneizzati di carne o pesce- formaggi cremosi- uova alla coque-budini-mousses).
• Solidi (pasta e gnocchi di patate ben cotte e ben condite- pasta ripiena- uova sode- filetti di pesce senza lische- verdure cotte non filacciose-formaggi tipo crescenza o ricotta-soufflè- pane da tramez-zini- frutta a consistenza morbida come la banana o frutta matura in genere- mela cotta.

Consigli sull’impiego di agenti addensanti
• Fare attenzione quando si aggiungono gli addensanti ai liquidi. Pro-cedere sempre gradualmente, evitando di aggiungere grandi quantità in una sola volta.
• Alcuni agenti hanno un effetto addensante quasi istantaneo, altri possono avere un effetto graduale che dura vari minuti.
Per evitare che si formano grumi mescolare il liquido e l’addensante in un contenitore con tappo e agitare piuttosto che mescolare.

La malnutrizione è associata ad uno scarso recupero funzionale e a un’aumentata mortalità. Tuttavia, somministrare integratori alimentari di routine a tutti i pazienti con ictus non migliora gli esiti né riduce le complicanze. Nei pazienti con disfagia persistente, le opzioni per la nutrizione enterale comprendono il SNG o la PEG.


Raccomandazioni:
- Valutare la presenza di disfagia con test clinici specifici in tutti i pazienti
- Posizionare precocemente il sondino nasogastrico in presenza di disfagia
- Valutare la ripresa della deglutizione con un approccio combinato tra neurologo, foniatra, logopedista ed infermiere previa valutazione della motilità laringo-faringea.
- Considerare la possibilità di posizionare PEG se non vi sono evidenze della ripresa della deglutizione dopo 1 mese circa dell’evento ictale.
Preferire la nutrizione enterale evitando la nutrizione parenterale
- Usare prodotti nutrizionali adeguati in somministrazione continua tramite pompa entrale, con sospensione durante le ore notturne per ridurre il rischio di rigurgiti ed aspirazioni




AFASIA               

Raccomandazioni

• I pazienti che presentano disturbi del linguaggio dovrebbero ricevere un trattamento specifico finalizzato al recupero delle facoltà linguistiche e di comprensione per migliorare la comunicazione.

Disturbo afasico

L’attacco di Stroke, molto spesso comporta la insorgenza di deficit del linguaggio. Tra questi il più significativo è l’Afasia. L’obiettivo del trattamento è il recupero dell’attività comunicativa orale o scritta e la capacità di comprendere quanto detto per stabilire la comunicazione e le relazioni sociali.
Il paziente afasico spesso è irritato, agitato ed ansioso a causa della consapevolezza del disturbo; nella gestione è importante ricordarsi di questa probabile stato . Il trattamento, in genere è affidato al logopedista o al terapista della riabilitazione ma gli obiettivi ed i risultati devono essere noti a tutta l’equipe al fine di stimolare ed incoraggiare il paziente.
Nell’assistenza al paziente afasico è importante ricordarsi:

• Utilizzare frasi brevi, di facile comprensione –evitare il linguaggio puerile-
• Non urlare se il paziente non ha deficit uditivo,
• Non formulare domande con troppe alternative,
• Porre domande semplici che prevedano un SI oppure un NO quali risposte,
• Non distogliere lo sguardo dal paziente mentre ci parla o gli si parla,
• Lasciare tempo al paziente per comprendere quanto gli è stato detto o per rispondere,
• Utilizzare anche la comunicazione non verbale, toccarlo, stringere la mano, sorridere,

• Se il paziente si esprime in modo incomprensibile frenarlo con ordini semplici.

Porre particolare attenzione alla mano non plegica, con essa il paziente si aiuterà nell’espressione e nella comunicazione.

DEPRESSIONE
Raccomandazioni


La depressione dovrebbe essere sospettata sempre e la sua presenza effettiva nonché le cause, indagate adeguatamente.

A seguito di attacco ictale, la comparsa di comportamenti depressivi è frequente e sono dovuti sia al danno biologico cerebrale, che alla reazione all’inabilità.
La depressione post ictus è stata riscontrata con incidenza che varia dal 11 al 68% dei pazienti e tende all’aumento5. E’ pertanto più facilmente diagnosticabile nella fase di riabilitazione piuttosto che nella fase acuta.
Si deve considerare tale diagnosi di fronte alla persistenza dei seguenti segni:
• Malinconia del paziente,
• Perdita di interessa ad ogni attività,
• Astenia,
• Inappetenza,
• Disturbi del sonno,
• Incapacità di concentrasi.

Se persistenti, sono tutti campanelli di allarme per il personale di assistenza ed i familiari. La depressione può influire negativamente sul programma di riabilitazione per riduzione della compliance e rallentarne i risultati. Va trattata quindi correttamente e precocemente. I sintomi tendono ad attenuarsi in presenza di un buon piano riabilitativo e di un supporto psicologico positivo tendente a sottolineare i piccoli risultati e le conquiste sul piano delle attività.
ALTRE  SINTOMATOLOGIE


Oltre ai quadri tipici sin ora descritti, il paziente colpito da Ictus può presentare altre problematiche che l’infermiere deve essere in grado di riconoscere, valutare ed affrontare.

• Edema declive
E’ una condizione statisticamente rilevante, si presenta con dolore e gonfiore all’arto plegico. Generalmente compare nell’immediato post acuzie e nei casi in cui il paziente tende a conservare la postura per tempi eccessivamente lunghi. La mancanza di tono muscolare, l’immobilità contribuiscono al ristagno del ritorno venoso e linfatico.
E’ importante quindi agire su più fronti: la mobilizzazione secondo il piano di riabilitazione, il corretto posizionamento dell’arto, l’impiego di calze compressive graduate. L’impiego alternato delle tecniche permette di raggiungere risultati migliori. Non è indicato l’utilizzo di diuretici in quanto l’equilibrio idroelettrolitico potrebbe risentirne negativamente. Indicato è , invece, l’utilizzo di analgesici per attenuare il dolore.

• Altre condizioni di disagio

Si sostanziano essenzialmente nella comparsa del dolore e del singhiozzo.

Il dolore è un segnale di allarme, è importante conoscerne l’origine, il tipo e la sede, sono queste indicazioni utili al paziente ed al personale di assistenza. Il paziente con ictus a differenza degli altri ha due peculiarità
L’alterazione dello stato di coscienza o deficit della comunicazione, o Il dolore centrale.

Nel primo caso le sequele dell’ictus possono impedire al paziente di riconoscere lo stimolo come tale ovvero la segnalazione al personale. La consapevolezza di ciò deve orientare il personale di assistenza a, sviluppare un particolare intuito nell’espressione o nella postura del personale da un lato e la costante sorveglianza dall’altro; ciò al fine di conoscere per tempo i disagi del paziente, cercarne la conferma e porvi rimedio.
Diverso è il caso del dolore centrale: si manifesta come senso di prurito o bruciore scatenati dal freddo o dal caldo o dal semplice tatto, nulla hanno a che fare con la sede indicata come dolente. Nella maggior parte dei casi l’impiego congiunto di analgesici e tecniche quali la TENS possono risolvere il problema. Utile si è rilevato, nei casi di dolore centrale, l’utilizzo di antidepressivi ed anticonvulsivanti.
Il dolore dovuto alla spasticità può essere contrastato con analgesici abbinati a miorilassanti. Situazione particolarmente fastidiosa è la insorgenza del singhiozzo. Va esclusa l’insorgenza a carattere anatomo funzionale (quale la compressione del nervo frenico, l’aumento dell’Uricemia, la infiammazione del diaframma etc..) si preferisce in tali casi il ricorso a tecniche empiriche perché l’utilizzo di farmaci presenta un rischio elevato per gli effetti collaterali.

Riabilitazione precoce

La riabilitazione precoce riduce la disabilità residua nei pazienti con ictus. L’intensità del programma riabilitativo dipende dallo stato del paziente e dal grado di disabilità. Se la riabilitazione attiva non è possibile (es. per riduzione dello stato di coscienza), deve essere effettuata la riabilitazione passiva per minimizzare il rischio di contrazioni, dolori articolari, piaghe da decubito e polmoniti.
Raccomandazioni:
- Iniziare la riabilitazione prima possibile
- Mobilizzare il paziente una volta ottenuta la stabilizzazione clinica del paziente

La gestione del paziente a domicilio

Posizioni e spostamenti
Sistemazione della camera

La perdita della sensibilità diminuisce la capacità del paziente di muo-versi normalmente e mantenere il suo equilibrio; al fine di evitare per-dite sensoriali, il paziente deve ricevere il maggior numero di stimola-zioni possibili sul lato colpito.
In tal senso è opportuno sistemare la camera in modo tale che tutte le operatività si possano agevolmente attuare su tale parte del corpo. Il paziente è posizionato correttamente se la sistemazione del suo letto nella stanza lo costringe a guardare al di là del suo lato plegico, nelle attività generiche o per i suoi interessi immediati (es. guardare la televisione).
Allo stesso modo, con il comodino dalla parte del lato plegico dovrà raggiungere il suo bicchiere d’acqua o il fazzoletto attraverso la sua linea mediana
Posizione sull’emilato plegico

Letto: deve essere duro, posato su una base altrettanto dura e l’al-tezza del letto dovrebbe essere regolabile per rendere possibile un facile e corretto trasferimento del paziente.
Testa: è ben in avanti, confortevolmente appoggiata.
Tronco: è dritto ed allineato, sostenuto da un cuscino posto dietro la schiena ed i glutei.
Spalla plegica: sul basso, portata in avanti.
Braccio plegico:
• in avanti sino a formare un angolo di circa 90° con il corpo;
• totalmente sostenuto da un cuscino ed appoggiato su di un tavolino posto presso il letto del paziente;
• anche il gomito è teso il più possibile con il palmo della mano girato verso l’alto.
Gamba plegica:
• anca tesa
• ginocchio leggermente flesso
Braccio sano: posato lungo il corpo o su di un cuscino.
Gamba e piede sani: su di un cuscino e portata in avanti.

Posizione supina
Testa: ruotata verso il lato plegico. La spalla colpita appoggiata su un cuscino.
Braccio plegico:
• appoggiato su di un cuscino posto a fianco del corpo;
• leggermente abdotto;
• gomito teso;
• mano in flessione dorsale;
• dita tese.

Anca plegica: tesa ed appoggiata sul cuscino
Posizione sul lato sano

Testa: confortevolmente appoggiata, con tronco dritto ed allineato.
Spalla plegica: in avanti.
Braccio e mano plegici: appoggiati su di un cuscino con il palmo della mano rivolto verso il basso.
Gamba plegica:
• anca e ginocchio leggermente flessi;
• gamba e piede completamente appoggiati su di un cuscino.
Braccio sano: nella posizione più confortevole per il paziente.
Gamba sana: anca e ginocchio tesi.

Spostamento laterale nel letto
Posizione paziente: coricato, con le ginocchia flesse.
Manovra di facilitazione allo spostamento: una mano preme il ginocchio del lato colpito verso il basso mentre l’altra accompagna il bacino nel suo movimento verso l’alto e lateralmente.
Spostare quindi lateralmente ed insieme spalle e guanciale per otte-nere il posizionamento desiderato.

Trasferimento di carico sul lato sano

La gamba plegica è flessa.

Le mani del paziente sono incrociate.
Guidare la gamba plegica del paziente verso la gamba sana, applican-do sempre meno assistenza, fino a quando può eseguire il movimento da solo.
Il paziente tiene le mani incrociate (nel tondo) e ruota il torace muo-vendo le braccia verso il lato sano

Trasferimento di carico sull’emilato plegico

Attivo
Manovra di facilitazione: trattenere il lato plegico;

Insegnare al paziente a spostare gamba e braccio sani verso il lato plegico.

Posizione seduta nel letto

Letto:
• testata del letto molto rialzata;
• un cuscino di sostentamento va posto sul fondoschiena.
Testa e Tronco: ben allineati.
Anca: in flessione, con il peso del corpo equamente distribuito sulle due natiche. Braccia: tese in avanti con i gomiti appoggiati su un ta-volinetto mobile (eventual-mente su di un cuscino).
Mani: incrociate.


Passaggio dalla posizione supina a quella seduta

Passivo
L’assistente fa ruotare il paziente, a ginocchia flesse, sul lato plegico.
Con la mano sana il paziente, a sua volta,si appoggia al bordo del letto.
Attivo
Il paziente è coricato sul lato plegico. Con la mano sana si rialza sul bordo del letto.
L’assistente facilita ed accompagna il movimento sostenendo con una mano l’anca sana mentre con l’altra esercita una pressione verso il basso sulla spalla sana.

Spostamento ottenuto con movimenti del bacino

Passivo
Il paziente, sposta alternativamente
il peso del corpo da una parte all’altra e la successione di questi movi-menti gli permette di avanzare “camminando sul posteriore”.
Il paziente sorregge in avanti la mano emiplegica con la mano sana. Coordinazione crociata, facilitata, tra spalle e bacino.

Attivo
Anche in questo caso, ma senza aiuto, il paziente sorregge in avanti la mano emiplegica con la mano sana.

Trasferimento dal letto alla sedia
La sedia viene messa dalla parte del lato plegico ed il paziente viene girato o aiutato a girarsi da quella parte; chi aiuta mette una mano sotto la spalla plegica, fa scivolare le gambe del paziente giù dal letto con l’altro mano e lo porta in posizione seduta.
Il paziente si porta all’orlo del letto rotolando leggermente da un lato all’altro del corpo; le braccia dell’assistente vengono messe sotto le spalle del paziente con le mani sopra le scapole mentre le gambe van-no a toccare quelle del paziente all’altezza dei piedi e delle ginocchia (nel tondo). Le braccia del paziente vengono messe alla vita o sulle spalle dell’assistente, ma le mani non devono essere incrociate. Se il paziente lo fa, tirerà sul collo di chi lo aiuta così che sarà quest’ultimo a sostenere il peso del paziente, che invece deve mettere il peso sulle sue gambe. A questo punto il tronco viene tirato bene in avanti ed il paziente viene messo in piedi.

Trasferimento dal letto alla sedia

Attivo
Assenza  di  appoggio  sullo sgabello.
  Piedi: ben impiantati.
  Mani: incrociate
  Il paziente deve sporgersi in
  avanti, sollevare il posteriore
  e portare il peso del corpo in
  avanti.
  Deve fare un movimento di
  rotazione verso la sedia.
  Assistente: l’aiuto va portato
  a livello del cavo ascellare.
Il paziente: è appoggiato ad uno sgabello con le mani incrociate, il tronco flesso ed i piedi ben impiantati.
Le mani del paziente sono incrociate, protese in avanti ed appoggiate allo sgabello.
Sollevare il bacino a livello dei trocanteri, e portare il peso del corpo in avanti. Spostare il paziente verso la sedia od il letto.

Posizione seduta su una sedia

La miglior posizione seduta si ot-tiene con una sedia a schienale dritto.
La sedia deve essere alta abbastanza da permettere al paziente di sedere con anche e ginocchia ad angolo retto quando si ap-poggia allo schienale.
Capo e tronco sono allineati, con il peso del corpo ben distribuito su tutte e due le natiche, le mani sono incrociate e messe ben avanti sul tavolo di fronte.
I piedi sono completamente appoggiati.

Passaggio dalla posizione seduta a quella eretta




Posizionare uno sgabello davanti al paziente.
Con la mano sana il paziente trattiene con forza in avanti la mano emiplegica.
Si protende in avanti con la testa che so-pravanza la pianta dei piedi e solleva il pro-prio posteriore.
Manovra facilitata dall’assistente:
• mettersi a fianco del paziente sul lato emiplegico;
• una mano sostiene l’anca valida;
• l’altra mano sostiene la gamba emiplegica sopra il ginocchio

Marcia

1. L’assistente si pone di fronte al paziente
Il braccio emiplegico del paziente è appoggiato sulla spalla dell’as-sistente.
L’assistente appoggia una mano sulla scapola del paziente, sotto la spalla emiplegica e ne sostiene così il braccio leso.
L’altra mano dell’assistente, posta all’altezza del bacino, guida il movimento del piede.
2. L’assistente si pone a fianco del paziente, sul lato colpito; con un avambraccio a livello dell’ascella ne regge la spalla, con l’altra mano sorregge il braccio emiplegico del paziente.

L’assistenza ai pasti
Il paziente si pone vicino ad una tavola apparecchiata con gli ele-menti essenziali (piatto, posate, tovagliolo, bicchiere, bottiglia).
La postura del tronco deve essere diritta e l’arto plegico deve essere posizionato sul tavolo.
Il paziente prende la posata (in questo caso un coltello) con la mano sana, mentre con quella plegica, aiutato dall’assistente, mantiene il pane per spalmavi la marmellata.
Sempre con l’arto sano si pulisce la bocca.
Per aprire una bottiglia il paziente, sempre con l’aiuto dell’assi-stente, mantiene con l’arto plegico la bottiglia e con quello sano svolge l’attività di avvitare e svita-re il tappo.

L’assistenza nel vestirsi

Scelta degli abiti

Il paziente con l’aiuto di un assi-stente si avvicina all’’armadio e, quando si è assicurato di aver rag-giunto il buon equilibrio e di aver bilanciato bene il peso sull’arto in-feriore plegico inizia a scegliere e a prendere i vestiti sotto la guida dell’assistente.
Per indossare una maglia

Il paziente da seduto, mette la maglia sulla gambe con la parte di dietro rivolta verso di sé, infila il braccio plegico, che sta tra le gambe, nella manica, aiutandosi con la mano sana, poi infila il braccio sano e con il suo aiuto porta la maglia sulla testa, infilando così il collo; il paziente si raddrizza per indossare la maglia mentre l’assi-stente aiuta, se necessario, il paziente nelle varie fasi.
Per indossare una giacca

Il paziente, sempre da seduto, infila il braccio plegico nella manica del-la camicia/giacca tenuta aperta fra le gambe aiutandosi con la mano sana, poi si piega in avanti per tirarsi la manica verso la spalla, control-lando posture e movimenti. Mentre il paziente tira la giacca/camicia verso la spalla, rimane piegato in avanti e mantiene il braccio ancora fra le gambe (questa posizione inibisce la retrazione della spalla e la flessione del braccio).

Per infilarsi le scarpe, le calze ed i pantaloni

Il paziente deve incrociare le gam-be, postura che favorisce l’equili-brio da seduto. Infila prima l’arto plegico, poi con l’aiuto dell’assi-stente tiene i pantaloni con la mano plegica, mentre con la mano sana li alza. Aiutandosi con un ap-poggio si alza (sempre se possiede un buon equilibrio in piedi) con la mano plegica si regge mentre con quella sana si alza i pantaloni e li abbottona.
Se il paziente non riesce ancora ad incrociare le gambe in modo controllato, può aiutarsi con le mani intrecciate, in questo caso è l’assistente che deve tenere gli in-dumenti.
Per infilarsi il calzino, il paziente, usando il pollice, il medio e l’indice della mano sana lo tiene aperto, infila il piede plegico e poi lo alza.
Per infilarsi la scarpa deve metterla sulle dita del piede, appoggiare quest’ultimo sul pavimento e fare pressione sul gi-nocchio plegico; se è necessario utilizza un calzante con manico lungo

Per spogliarsi

Il paziente, seduto, posiziona l’arto plegico tra le gambe e con l’aiuto della mano sana tira l’indumento da sopra la testa, infine, sfila l’indumento dal brac-cio plegico con la mano sana.
N.B.: Affinché il paziente possa avere la sicurezza sufficiente quando si veste/ sveste, non deve essere seduto sull’orlo di un letto, ma su una sedia stabile. Se ha paura di cadere dalla sedia, gli deve venir messa accanto un’altra sedia che gli fornisca la sicurezza necessaria. L’assistente si posiziona accanto al pa-ziente dalla parte del lato plegico, per-ché questo è il lato sul quale il paziente potrebbe cadere. Quando l’assistente deve aiutare il paziente nell’attività del vestirsi, non deve infilare l’arto plegico
del paziente nella manica, nel pantalone, nella scarpa o nella calza, ma deve tenerli
soltanto aperti in modo che il paziente stesso vi infili l’arto plegico aiutandosi con la mano sana.
L’assistenza nelle attività di igiene

Il paziente se ha un buon controllo del tronco può svolgere queste attività in piedi, altrimenti può stare seduto utilizzando una sedia adattabile in altezza.
Si tappa il lavandino, poi il paziente con l’aiuto dell’assistente, posi-ziona l’arto plegico sul rubinetto per aprire e chiudere l’acqua, in-tanto controlla con la mano sana la temperatura dell’acqua.
Farsi la barba, lavarsi i denti, pettinarsi e truccarsi

Il paziente posiziona l’arto plegico sul lavandino mentre con l’arto sano svolge queste attività, intro-ducendo brevi pause per il control-lo e per la correzione della postura e dei movimenti.
Lavarsi il viso, il collo, il petto, l’arto plegico
Il paziente porta l’arto plegico, che deve essere lavato, nel lavandino, apre il rubinetto con la mano sana e controlla la temperatura dell’ac-qua. L’assistente controlla la posi-zione corretta del paziente, cioè tronco in leggera flessione e spalla plegica in estensione.
Lavarsi gli arti superiori ed inferiori
Il paziente deve essere rilassato, ed in posizione seduta. Con l’aiuto della mano sana infila un guanto spugna sul-la mano plegica.
Per  lavarsi  l’arto  superiore sano distende quest’ultimo sul bordo del lavandino e con l’aiuto dell’assistente svolge l’attività; per asciugarsi, sempre con l’aiuto, si avvolge l’asciugamano sull’arto lavato.
Per lavarsi gli arti inferiori, sempre utilizzando il guanto spugna, il paziente accavalla l’arto plegico su quello sano e, sotto la guida dell’assistente che deve controllare la postura ed i movimenti, esegue l’attività, partendo dal ginocchio fino ad arrivare al piede. Per facilitare lo
svolgimento può essere utile un poggia-piedi.
Lavarsi la schiena

Il paziente si posiziona in piedi, di fronte il lavabo, con l’utilizzo del guanto spugna, si lava da solo. È importante la presenza dell’assi-stente per controllare il bilancia-mento del peso, l’equilibrio del paziente ed i vari movimenti

 
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